venerdì 18 aprile 2008

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Vogliono far nascere un PD padano. Pensate che serva veramente? Allora dovremmo fare anche un PD meridionale! E le regioni "rosse" del centro?

I sindaci del Nord, da Cacciari a Chiamparino, l’avevano buttata là subito dopo la discesa in campo di Veltroni. E ora dopo il boom della Lega tornano alla carica. «Serve un Pd tagliato per il Nord», dicono. E sono in parecchi a pensare che i democratici, pur rimanendo federati a livello nazionale, dovrebbero mettere in piedi la loro costola padana autonoma.
«Un Pd del Nord? È un progetto giusto, lo dico da anni – ricorda il sindaco di Venezia Massimo Cacciari – Ed è certamente realizzabile, basta volerlo». A volerlo, è il sindaco di Bologna Sergio Cofferati: «Io penso a un Pd federale e non confederato – spiega – che guardi a una dimensione macro-regionale». Ma Cacciari mette già i paletti: «l'Emilia Romagna – dice – non c'entra nulla con il Pd del Nord, è un problema del lombardo-veneto». Chiude il cerchio Sergio Chiamparino, primo cittadino torinese: «Autonomia e decentramento servono non a chiudersi nelle ridotte valligiane ma per fare, realizzare, stare nella competizione».
Ma quella di un Pd del Nord non è solo un’idea dei sindaci. Anche qualcuno che sta a Roma sente che è arrivato il momento di una svolta. «Non c'è dubbio – spiega il vicepresidente della Camera Pierluigi Castagnetti – che ci sono delle peculiarità territoriali che non possono non condizionare l'offerta politica e la domanda di federalismo sta crescendo in termini molto forti». D’accordo anche Marina Sereni, vicecapogruppo uscente del Pd alla Camera: «Ci sono – spiega – somiglianze su tematiche economiche, sociali e infrastrutturali che giustificano una scelta di questo tipo e conseguentemente una maggiore autonomia di elaborazione e di organizzazione al Pd sul territorio».
I segretari regionali del Pd si incontreranno per la prima volta dopo le elezioni il prossimo lunedì. Non a caso, a Milano. Ma prima del vertice, arrivano già le stroncature. Storce il naso – almeno secondo voci raccolte nell'entourage di Veltroni – il Pd nazionale, che all’articolo 1 dello statuto ha l’esatta dicitura di «partito federale». Ovvero, un partito dove segretario nazionale e segretari regionali pari sono. Veltroni pensa più ad un radicamento nelle realtà locali che cominci dalle candidature delle scorse elezioni. «Se di tratta di radicare di più il partito nel territorio, di avviare le macchine locali e via dicendo – fanno notare dallo staff di Veltroni – siamo sulla strada giusta, se invece – proseguono – si pensa ad un partito fatto di “pezzi di partito” si promuove un progetto che non è né nello statuto, né nel programma, né nell’idea di Pd che i cittadini hanno votato con le primarie».
Se invece di avere queste belle pensate avessero ragionato di più nella calda estate del 2006 quando approvarono l'indulto adesso non si troverebbero in questa situazione. Prima di quel provvedimento il gradimento del governo Prodi, complice anche le liberalizzazioni di Bersani, era al 68%. Dopo quella nefandezza è sceso inesorabilmente!

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